domenica 29 settembre 2013

GLI ALBERI di MAURO CORONA

GLI ALBERI, COME GLI UOMINI, PUR VIVENDO GLI UNI ACCANTO AGLI ALTRI, RESTANO MISTERIOSAMENTE DIVISI E OGNUNO ALLEVA DENTRO DI SE’ LA PROPRIA SOLITUDINE


E tu quale albero sei ……











BETULLA
Alta elegante, dritta, sempre perfetta nel suo abito bianco, la betulla è la regina del bosco. Quando il vento la incontra e la accarezza con soffi gentili, tutto il suo corpo si muove, conferisce una straordinaria eleganza. Pare sempre che sia pronta ad uscire per andare a un ricevimento. Riservatezza, ma conscia della sua bellezza, si fa desiderare e non concede facilmente le sue grazie. Non appartiene a quella categoria di donne che visibilmente ti fanno capire la loro disponibilità. Il suo desiderio, la sua scelta, i suoi gusti, li devi intuire dall’impercettibile movenza delle fronde. E nemmeno allora sei sicuro che ti abbia detto sì. Sa di essere la protagonista del bosco e questo la rende un po’ superba e vanitosa .
ACACIA
Un albero che mi angoscia procurandomi una strana inquietudine, è l’acacia. Mi impensierisce a tal punto che ne parlo sottovoce, quasi con paura. Durissima, taciturna, solitaria anche se in gruppo, scontrosa e inattaccabile dagli attrezzi, è sicuramente pazza. Una donna che vive nella sua torre, difesa da lunghe spine acuminate. Una zitella altera e segaligna che non vuole ricevere né dare affetto alcuno. Forse è così chiusa a causa di antiche colpe che le rimordono. Continua a stare sola e alla sera affila gli aculei rinsecchiti. L’acacia è una donna perduta che rifiuta speranza e pietà, ma non si lamenta, e a sua difesa deve dire che non disturba nessuno. Per far rispettare il suo limite invalicabile mette delle spine che non sono i piccoli aculei della rosa, ma lunghi e acuminati coltelli. Non perdona l’acacia: le sue fibre contengono gli acidi dell’astio e se l’accarezzi ti piaga la pelle. L’acacia in fondo soffre, ma ormai vive al di là del punto di ritorno, redimersi le è praticamente impossibile. L’acacia appartiene a una categoria che non concede approcci a nessuno. Il suo riscatto sta nel fuoco, il quale è l’unico che la può piegare e possedere. Solo a lui si concede e, in quell’estremo sacrificio, riesce per una volta a riscaldare finalmente gli uomini. Resiste all’acqua per anni. Dopo la morte lentamente si sbriciola e sprofonda nella terra. Solo allora il suo tormento può dirsi esaurito.
CIRMOLO
Il cirmolo assomiglia un poco al pino ma con foglie aghiformi molto scure; anche la corteccia è più scura e ruvida. All’apparenza sembra un albero ombroso e taciturno, invece possiede un’anima buona celata dietro un vivere sereno e tranquillo. Rappresenta la domenica del bosco, il giorno della festa, la giornata del riposo e del sorriso. Il suo corpo è un contenitore di resine dagli effluvi straordinari. Annusando in tronco di cirmolo si comprende quanto sia importante la vita sulla terra. C’è tutto in quell’odore: la montagna, il mare, i deserti, la voglia di vivere, la semplicità.
CILIEGIO
Buoni d’animo e dal temperamento mite questi alberi possiedono un corpo caldo e un colore che comunica affetto. Il ciliegio in verità, ha un carattere un poco superbo, ma bisogna dire che è anche l’albero dei sogni e degli amori. Forse per il suo colore rosa intenso con fiammature scure e per il suo legno odoroso e fresco, il Creatore gli aveva affidato un compito speciale nei paesi della valle. Lo aveva incaricato di contenere come uno scrigno affettuoso l’amore e il sonno degli uomini. Da noi, nonni, genitori, bambini, generazioni intere hanno dormito e si sono voluti bene in letti di ciliegio.
FRASSINO
Il frassino si può definire l’effeminato del bosco. Non cresce mai dritto. Il suo tronco si sviluppa su movenze curve inequivocabilmente femminili. Qualsiasi scultore anche il più grezzo e insensibile, guardandolo, vi scopre, dentro, fianchi e seni di donna. Come tutti i diversi è sensibilissimo e quindi procede, attraverso la vita, con grandi difficoltà. Non esiste un frassino privo di linee accattivanti, perciò quando lo incontri, il primo impulso è quello di accarezzarlo. Ma le sue colpevoli e accattivanti forme le paga con interessi. Come tutti i diversi, infatti viene emarginato e preso in giro. Nonostante il corpo grazioso però, il frassino, è un legno duro e tenace, dal carattere buono e pronto a sopportare i pesi della vita.
ROVERE\QUERCIA
E ora parliamo di lei, la massaia, quella che lo scultore Marino Marini avrebbe definito “Pomona”. E’ la quercia, donna che ha condotto la famiglia in porto, poi si è rilassata. I suoi figli si sono sistemati e hanno trovato un impiego e lei ormai se ne sta tranquilla e soddisfatta. Alta, grossa, sempliciotta, sembra una chioccia sempre intenta a tenere i pulcini sotto le ali. Preoccupazioni ed ansie l’hanno abbandonata da tanto, ma l’hanno pure sfiancata e resa pesante, con le forme dimenticate da tempo. Di scarsa cultura, è un po’ banalotta e provinciale. Nel bosco sembra una di quelle matrone da cortile, le mani ai fianchi e il grembiule unto, che parlottano con le comari di tutto e tutti, e sanno in anticipo, di questa o quella ragazza, che sta per diventare madre, o della tal sposa che se la intende con l’amico. Non ha punte di emozioni e sta li a registrare gli avvenimenti che riferisce con bigotteria e quel senso dello scandalo, tipico di chi non può più commettere certi peccati.
ABETE BIANCO
Nei nostri boschi, l’albero possente, il signore del castello per il quale tutti nutrono grande rispetto, è l’abete bianco. E’ il vecchio protettore, colui che dal suo eremo, raggiunta l’età della saggezza, controlla tutto e tutti. Anche il nome, sereno e pacifico, lo aiuta. Avrebbe potuto chiamarsi in altro modo, invece si chiama abete bianco, nome che a pronunciarlo, ti da subito l’idea di una potenza controllata dall’equilibrio. Alto e maestoso si sviluppa in largo e diritto. In altezza può raggiungere anche i cinquanta metri. Da lassù parla con la luna e vede tutto e tutto sa. La sua crescita è lenta e laboriosa perché deve apprendere la difficile arte del condottiero, de grande saggio che, imparziale come Salomone, appiana e dirime tutte le dispute del bosco sul quale regna.
PIOPPO
Il più sfortunato degli alberi è il pioppo: appartiene, come socio fondatore, alla sterminata categoria dei disgraziati che popolano la terra, a quel vasto numero di persone che non hanno alcun pregio e neanche la salute. Dispone di pochissime qualità il pioppo, e con il suo legno non puoi neanche fare fuoco, chè brucia male e a stento anche a secco. Sulla terra si sente inutile. Ovviamente non si presta neppure ad essere scolpito, perché pur essendo molto tenero, le sue fibre producono una specie di “barba” che intralcia le sgorbie e non consente di levigare il manufatto come si deve. Conscio della sua misera condizione, non vuole quasi vivere, e manda avanti l’esistenza a spintoni in attesa che la morte venga a prenderlo. Anche le foglie sono consapevoli della povertà del loro stato e si lasciano morire quando sono ancora attaccate ai rami.
LARICE
L’opposto del noce per carattere e stile è il larice, il re dei costoni. E’ presente nelle radure, ma può anche crescere solitario come una spina dolorosa nel fianco del monte. Ha un nome ossuto e secco che ben lo rappresenta. Il suo colore interno, soprattutto nella parte che esce da terra, è rosso sangue con fiammature giallo ocra che lo accendono. Non cresce proprio perfetto, ma leggermente curvo, e va su, molto in alto. E’ il nostro amico, il fratello maggiore. I montanari ne adoperavano i primi quattro metri perché sono i più forti e duraturi. Tenaci e riservati, nobili d’animo e forti di carattere erano i nostri naturali alleati. I paesi della valle sono fatti di sassi, anime, larici.
ABETE ROSSO\PINO
A differenza del larice il pino ha chiesto al Creatore di essere preservato dalla vecchiaia, desiderio solo in parte esaudito. Il Padreterno infatti non ha donato al pino  l’eterna giovinezza, ma gli ha concesso la possibilità di vestirsi di un abito verde anche nella cruda stagione. Ma lui non è arrogante e cattivo come l’agrifoglio, il suo vestito ha un colore tranquillo e riposante. D’inverno quando tutto dorme e la natura si rinchiude in sé stesso, e i colori sfumano e si disperdono nella neve, il pino è sempre bello  verde. Alle bianche distese innevate racconta la sua storia pacifica e tranquilla. Il pino presente in tutti i boschi di montagna, è un discreto dispensatore di buoni aiuti. E’ come un uomo di mezza età e  va usato con prudenza perdonando le sue prime difficoltà fisiche. E’ vulnerabile bisogna proteggerlo. A differenza del larice, non puoi lasciarlo all’esterno, preda delle intemperie. Lui ti aiuta nel bosco ma pretende protezione e vuole stare dentro casa altrimenti si rovina. Forza e durezza le scarica nei rami. I suoi figli infatti, ribelli al mite carattere del padre, sono inattaccabili da qualsiasi attrezzo. Vedere le grandi e pacifiche famiglie di pini dispiegarsi per le montagne in vaste distese verdi trasmette un senso di serena tranquillità. Si tratta di gente per bene senza la quale un bosco non potrebbe dirsi completo.

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